Per i pokeristi più nostalgici aver dato una valenza sportiva al gioco d’azzardo più spietato del mondo si è rivelato un compromesso inaccettabile che ha snaturato e stravolto l’anima di questa appassionante disciplina. E così dei fumosi tavoli di poker, accompagnanti dall’oscuro sottofondo del gioco al massacro non è rimasto granchè: le telecamere e le luci hanno invaso questa zona franca per sottoporla alla bonifica e all’appiattimento da reality. Le conseguenza sono fastidiose: fra il gioco classico che ha illuminato pellicole indimenticabili (pensiamo a “Cincinnati Kid”, a “California Poker” ma anche al nostro “Regalo di Natale” di Pupi Avati) e quello che viene praticato oggi sia sui canali satellitari che nei palinsesti notturni delle tv private c’è la stessa differenza che passa fra la nobile arte della boxe e la lotta libera. Tutto è falsato, anche la potenziale emozione che lo spettatore dovrebbe provare. Comunque non è detto che, con un po’ di pazienza e scarse pretese, non ci si possa intrattenere lo stesso. “Le regole del gioco” è l’ennesimo film dedicato al “Texas Hold’em” (si è cimentato anche James Bond nell‘ultimo “Casino royale“), ovvero una cervellotica e imprevedibile variante del poker americano che per appassionare veramente chi lo segue non ammette ignoranza. Riuniti attorno al campo di battaglia i soldati con le fiches davanti, due carte coperte in mano e cinque al centro utili per “chiudere” le combinazioni possibili sono obbligati all’eliminazione diretta: chi riesce a sopravvivere da solo appropriandosi delle poste rivali vince il primo premio.
E proprio nella Las Vegas del 2003 si svolgono i fatti narrati dal film. Huck Cheever (Eric Bana) è un giovane spiantato che passa le intere giornate a sacrificare i suoi averi nel banco dei pegni per “fare” i soldi che gli consentono l’accesso nelle sale da gioco dove gode di una discreta fama come giocatore professionista. Ai tavoli di poker gira e rigira gli avversari per Huck sono sempre gli stessi e quasi tutti con doti tecniche inferiori alle sue. Eppure Huck ha nel suo Dna un grosso punto debole: è un istintivo e come tale paga a caro prezzo l’audacia e la spacconeria. Risultato? Ha sempre le tasche vuote e il poker non gli dà lascia nulla se non l’adrenalina a mille e una casa svuotata dai pignoramenti. Sorte diversa si profila per suo padre E.C. Cheever (Robert Duvall), un veterano del tavolo verde, con il quale Huck ha un rapporto conflittuale ed è mosso da acceso spirito di rivalsa. I due si affrontano spesso in interminabili sfide (anche testa a testa), alleggerendosi di grosse cifre e scambiandosi frecciatine e colpi bassi come se fra loro non esistesse alcun legame di sangue. L’esistenza di Huck appare segnata dalla noia e dalla metodicità fino a quando non incontra casualmente la dolce e fragile Billie (Drew Barrymore) che per vivere onestamente deve invece lavorare sodo sperando di avere successo come cantante solista nei locali di Las Vegas. Questo inaspettato rapporto sentimentale, fatto di alti e bassi, sarà per Huck un durissimo banco di prova per trarre le sue conclusioni. E lo scenario finale dove Huck dovrà fare i conti con se stesso sarà proprio il torneo World Series dove si misurerà direttamente con suo padre (la più importante competizione americana di poker sportivo); il destino insomma avrà modo di sorprendere un po’ tutti.
E’ scandaloso che un buon film come questo venga proposto in un finale di stagione, in sale semideserte e nella cattiva e confusionaria compagnia di film commerciali. Eppure è la stessa infelice sorte che gli è capitata in patria dove, stroncato dalla critica e dal pubblico, nelle prime settimane ha incassato una miseria. Un vero peccato perché la pellicola è diretta con mestiere da un Curtis Hanson (“L.A confidential”) in stato di grazia, ben servito da uno script efficace sotto ogni punto di vista che si ripromette il non agevole compito di intagliare un interessante filo conduttore per sorreggere le interminabili e lunghe partite di poker. Certo per apprezzare tale merce è necessario premunirsi di molta passione per questo gioco perché buona parte della durata è impiegata con macchina fissa ad inquadrare le carte dei giocatori. Però per nostra fortuna non siamo in televisione (sono da incubo invece i commenti dello speaker, ma lasciamo stare…) è tutto si svolge in un ideale clima cinematografico come ai vecchi tempi. Il giovane Eric Bana (“Munich”) conferma le sue doti, ma la parte del mostro sacro la fa Robert Duvall in una delle sue interpretazioni più belle ed intense. Cinico e spietato padre padrone che nonostante la bile e un oscuro livore ha occhi dolci per il suo ragazzo. Perché come dirà la Barrymore (bravina, ma marginale) in una delle sequenze chiave: “il dare e il ricevere è una faccenda più complicata del vincere o perdere”.
UCI Cinemas, Molfetta - Giugno 2007 (Barisera) |