Qualcuno ha affermato che se questo film di Altman non avesse vinto il Leone d'Oro a Venezia, dato il contesto, sarebbe stato un vero e proprio scandalo. Il rovescio della medaglia è dato dalle aspre considerazioni di alcuni che lo hanno visto come un ripiego inatteso di una giuria fragile che, nel dubbio, non se l'è sentita di negare a Kieslowski il massimo riconoscimento, optando per un ex-aequo che a nostro avviso non sminuisce affatto la forza individuale delle due opere. Ma allora bisogna davvero credere che con "Short cuts", Robert Altman sia ritornato a suggellare capolavori? Sembrerebbe proprio di si e saremmo stati dello stesso avviso qualora il film si fosse ritrovato in condizioni d'inferiorità rispetto ad altre pellicole in concorso più importanti. Insieme a "Nashville" (1975) questo film costituisce un fondamentale affresco della società americana contemporanea: tre ore piene spese da un autore in stato di grazia che, attraverso dei "tagli brevi" cerca di raccontarci con straziante realismo le brutture dell'America del nostro tempo. Un macrocoscmo urmano debole e senza futuro che spesso non fa cronaca e quindi viene puntualmente dimenticato; l'America delle classi meno agiate con la cattiveria primitiva nel sangue e la violenza nel cuore, entrambe celate da un'apparente e finta normalità che è solo ipocrisia, capace al momento opportuno di rigurgitare tutto il suo male. Un ritratto negativo, pessimista, di un mondo abbandonato al proprio destino, viziato dagli egoismi, dall'indifferenza, dalla maleducazione. Un affresco che, se proprio vogliamo, avrebbe potuto anche non avere una precisa collocazione ambientale e temporale: la modernità afflitta dall'umanità non nasce e non si sviluppa in America, abbraccia molte culture, condiziona anche altri popoli. Ma è splendido, tuttavia, notare con quanta originalità Robert Altman affronti il suo personale spaccato sociale e fa piacere riscontrare in tanto crudo realismo questo stile distaccato, da puro e impotente osservatore del male, che già aveva caratterizzato l'impronta de "I protagonisti", suo film precedente.
Nove storie, ventidue personaggi che basterebbero per almeno quattro film. Altman evita quella precisa successione narrativa che avrebbe magari favorito l'intesa col pubblico. Come in un'interminabile telefilm il suo contenitore alterna questi tagli brevi, prevedendo gli scambi occasionali dei personaggi. Tim Robbins, poliziotto molto legato alla sua uniforme, tradisce la bella moglie Madeleine Stowe ritrovandosi con un'amante (Frances McDormand) che oltre ad essere a sua volta perseguitata da un ex-marito geloso e imbecille, si porta a spasso il suo bambino che confonde l'identità dei suoi spasimanti. Fred Ward, fanatico della pesca, parte per il week-end insieme ad alcuni amici lasciando la moglie Anne Archer in preda ai suoi numerosi impegni lavorativi (la donna organizza feste mascherate per bambini). Lily Tomlin, cameriera in un "diner" scalcinato, respinge e riconquista in un solo giorno il marito fannullone (Tom Waits) al quale, senza saperlo, lo lega un amore profondo; ci sono poi i due amanti che si trastullano con un erotismo macabro; il professionista che è costretto ad attribuire alla sua gelosia la causa dei numerosi tradimenti della giovane moglie. Jennifer Jason-Leigh è una casalinga che arrotonda i guadagni partecipando a quelle hot-line che la costringono a simulare orgasmi telefonici, fra lo sguardo rassegnato e indifferente del marito Chris Penn e i piagnistei dei mocciosi da allattare. Lori Singer, una giovane violoncellista depressa, soffre a causa del carattere ossessivo ed egocentrico della madre (Annie Ross) e tenterà più volte di togliersi la vita. Le brevi vicende si intersecano, sviluppandosi a caso. Incontri, scontri, follia, amore, morte, come descriverli? I tagli brevi non favoriscono un racconto dettagliato e, più che letti, meritano d'essere visti. Il tutto, come nelle grandi opere, anticipato e concluso da due immagini di panico collettivo: il primo, in apertura, è causato dal raid notturno degli elicotteri che riempiono i cieli di Los Angeles con i loro insetticidi, il secondo (nel finale) da un tipico terremoto californiano che turberà per un attimo le esperienze individuali dei personaggi in questione. Tre ore e dieci minuti di proiezione, caratterizzati da un ricercato stile frammentario ma che lasciano un inestimabile bagaglio di robusto cinema. Fra tutte recuperiamo con vero cuore la bellissima sequenza in cui Jack Lemmon è un nonno che si reca al capezzale del suo sfortunato nipotino e confida a suo figlio tutti i suoi sensi di colpa. Ma va sottolineata anche la grande prova di Annie Ross e Lori Singer nel frammento più toccante e raccapricciante del film: un rapporto fra madre e figlia che non c'è più, una solitudine inquietante dove c'è spazio solo per una definitiva autodegradazione. Tagli brevi, ma incisivi dove la violenza esplode inaspettatamente, cogliendo proprio gli insospettabili. L'America d'oggi plasma a suo modo anche l'animo senza macchia dei bambini che qui o sono pavidi testimoni dell'egoismo degli adulti (il bambino che segua, come una palla al piede, le avventure sentimentali della madre separata) oppure inerti e consapevoli della diffidenza che fa sopravvivere (il bimbo che pur di non rivolgere una parola ad un estraneo, rifiuta il soccorso dell'automobilista che lo ha investito). Un malessere che in alcune circostanze cerca di mutare e comprendere (il pasticcere minaccioso e i suoi rimorsi) ma che sbatte sembre contro i suoi limiti.
Altman attenua il sarcasmo, ma accentua la commiserazione; la fauna descritta e attualizzata nella Los Angeles dei nostri giorni nasce dalla penna pregiata di Raymond Carver (morto nel 1987), l'autore di otto racconti e una poesia che hanno spinto il regista a realizzare il suo film. Le interpretazioni sono varie: fallimento "umano" di una nazione, descrizione veritiera di un malcostume generale, indagine su un disagio che prescinde da personali valutazioni pessimistiche. Il film merita di non essere trascurato se non altro per il cast straordinario che riunisce circa venti nomi eccellenti: dall'ottimo Tom Waits alle folgoranti Andie McDowell, Madeleine Stowe e Anne Archer. Maschi, brutta razza; lo confermano i contributi inquietanti di Fred Ward (come sempre all'altezza), Robert Downey jr (insostituibile), Chris Penn (unodei migliori), Tim Robbins (spassosissimo) e Matthew Modine (fuori ruolo). Splendida colonna sonora al ritmo di jazz. Un leone che ruggisce e risplende nella sua completezza. Altman non avrebbe potuto fare di meglio.
Cinema Carella, Bari - 11 Novembre 1993 |