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21.04.2012

13° FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO DI LECCE - I PREMI E LE MOTIVAZIONI

Si è conclusa a Lecce la tredicesima edizione, quest'anno particolarmente ricca e significativa, del festival del cinema europeo. Fra gli ospiti internazionali: Terry Gilliam (che ha presentato il corto "Wholly family") e Emir Kusturica (testimone di un bellissimo libro fotografico sul suo cinema, celebrato con una retrospettiva) hanno registrato una calorosa accoglienza di stampa e pubblico. Quest'anno il programma del festival prevedeva anche tributi a Ken Russell e Sergio Castellitto, al quale è stato dedicato il libro curato da Enrico Magrelli "Sergio Castellitto, senza arte ne parte" (ediz.Rubettino).

31.07.2011 - 18.08.2011

Sinfonie di Cinema 2011 – LA COMMEDIA NEL CINEMA ITALIANO

Anche quest’anno torna a Montefiore dell’Aso (AP) la magica atmosfera del festival “Sinfonie di cinema”.

SCONFINATA GIOVINEZZA (UNA)

Regia: Pupi Avati

Interpreti: Francesca Neri , Fabrizio Bentivoglio, Gianni Cavina, Serena Grandi

Durata: 98'

Nazionalità: Italia 2010

Genere: drammatico

Stagione: 2010-2011

Mai come in questi ultimi tempi, avendo superato la soglia dei quaranta film da regista, l'aggettivo "avatiano" (coniato da Tullio Kezich) tende a mutare il suo senso: spostando il suo asse dalla forte personalità di uno stile inconfondibile al processo di fidelizzazione degli spettatori che amano, sempre e comunque, il suo cinema. In "Una sconfinata giovinezza", ad esempio, il tema della malattia entra per la prima volta in punta di piedi nella lunga carriera del regista bolognese. Ed è un ospite scomodo con cui dover fare i conti, che mette a disagio per il solo rischio potenziale di edulcorare, con un certo compiacimento patetico, la verosimiglianza degli accadimenti. Lino (Fabrizio Bentivoglio) è un cronista sportivo legatissimo alla moglie Chicca (Francesca Neri), amica fedele e protettiva, docente universitaria alla Sapienza. Vivono a Roma in un quartiere prestigioso, uniti da una complicità e da un'affiatamento individiabile. Improvvisamente l'uomo comincia ad avvertire preoccupanti vuoti di memoria. Accurate diagnosi mettono a nudo un nuovo nemico: il morbo di Alzheimer che presto o tardi accellererà il processo degenerativo della sua mente. La carriera di giornalista è inevitabilmente compromessa: i suoi colleghi contribuiscono ad anticipare il prepensionamento e Lino si ritrova suo malgrado come un leone in gabbia ad oziare nella sua dorata prigione pariolina. La moglie si accorge che il suo amato compagno sta assumendo comportamenti instabili e decide di proteggerlo ed accudirlo come il figlio che ha sempre desiderato e mai avuto. Ma alcuni eventi cambieranno inevitabilmente il corso naturale delle cose...

Lo spettatore avatiano, disposto a perdonare, ritrova in "Una sconfinata giovinezza" le belle cose di sempre e resta indifferente all'imprecisione che si tramuta in venialissimo peccato: i ricordi di gioventù che riaffiorano attraverso una fotografia osso di seppia, un cinismo latente che costringe l'autore ad affrontare la malattia con uno sguardo forte e disincantato, l'onnipresenza del rimpianto e della malinconia. Affidato alla maestria di due attori straordinari (con un Fabrizio Bentivoglio, richiamato alle responsabilità di un ruolo terribilmente complesso) è un film che torna a mostrarci il fascino pittorico di alcune inquadrature (il merito va condiviso con la bravura di Pasquale Rachini, storico operatore), lo sguardo onirico rivolto da Avati alle sue radici, alle costrizioni in tempi di povertà. Avati riesce a farsi perdonare la gestione assoluta, ma convincente, di padrone di casa tuttofare con fiducia totale riposta nei propri mezzi. Si avverte un'atmosfera familiare grazie al ritorno di storici compagni di avventura (Lino Capolicchio e Gianni Cavina) che si avvicendano con garbo e simpatia. Le eventuali sbavature derivanti dalla difficoltà oggettiva di affrontare un tema delicato e insidioso (ma Avati non parla per sentito dire, ma sulla base di un'esperienza personale) vengono superate dalla solita classe di routine. Innegabilmente Avati si riconferma uno dei pochi autori italiani della vecchia generazione in grado di riconciliare lo spettatore (avatiano, appunto) con il lato sano della sensibilità e di tastare con mano l'amarezza, di pescare nel torbido della quotidianità rievocando il benessere della serenità strettamente legata ai ricordi della giovinezza. Può interessare o meno, di certo non lascia indifferenti. In fondo le storie, come sosteneva Citti, "non sono fatte per piacere, ma per dispiacere".

Uci Cinemas, Molfetta - 8 Ottobre 2010

 

Voto:     3 / 5
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