La metà oscura di un manuale d'amore sfogliato al contrario, ove si illustrano tradimenti, perversioni, vizietti latenti sulla base di un fastidioso machismo con l'uomo cacciatore che si specchia nella sua fierezza e la donna depredata e ferita che rimurgina sui sentimenti. I transalpini devono aver inghiottito e ben assimilato la formula visto che "Gli infedeli" cavalca l'onda lunga dei "Mostri" e "Sessomatto" di Risi, appropriandosi della struttura episodica, pur mantenendosi a distanza siderale. Alcuni frammenti brevissimi, ridotti all'essenziale, poco più che irriverenti freddure da comica finale intermezzano episodi più lunghi, permeati dall'aria pesante di una fedeltà al reale che si concede inevitabilmente alla tristezza e alla malinconia. Il percorso spezzettato è interessante: un prologo e un epilogo con due vecchi compari sposati, non più ragazzini, che percorrono le stesse vie di fuga dalle mogli (poco sopportabili, ma non è un alibi concreto), accomunati dagli stessi interessi: i locali notturni, le sveltine negli alberghi, l'intolleranza alla rinuncia. E che puntualmente, quando rincasano, le prendono di santa ragione, incassando il rimorso. Ma gli infedeli sono altri: maniaci sodomiti intrappolati in corsia ospedaliera, rappresentanti che sfruttano i meeting di lavoro per rimorchiare facendo i santi con le mogli a casa, insospettabili professionisti che cadono nelle grinfie di esperte ventenni mutevoli fra innocenza e cinismo, esibizionisti funamboli del sesso colti in flagrante pratica bondage, imbarazzanti terapie di gruppo di "adulterini anonimi" e coppie collaudate e mature che si promettono sincerità e comprensione, per poi accapigliarsi confessandosi le corna reciproche.
Due bravi attori protagonisti (il premio Oscar Jean Dujardin e Gilles Lellouche) e sette registi che si avvicendano dietro la macchina da presa per mettere a nudo le prove di resistenza della vita di coppia. Sotterfugi, scappatelle inconfessate, vizi e manie costituiscono un consistente campionato diseducativo ove sfilano con disinvoltura l'allegria della beffa e il malumore della coscienza sconfitta. Strano film, comunque: che ha una partenza accellerata e beffarda (per un istante si avverte il disagio di trovarsi davanti al solito teen-movies), cadute di tono e di gusto e improvvise impennate di un cinema goliardico con mezzi e idee fresche che non è in grado di osare. Certo i nostri cugini, pur volendo ispirarsi alla commedia all'italiana, rincarano la dose attraverso l'uso improprio di situazioni grottesche ai limiti della decenza, ma i frammenti migliori sono proprio quelli in cui metaforicamente si agita la latta di benzina davanti alla famiglia come istituzione. Rifugio ideale per il cervello e il cuore di capofamiglia in crisi, spesso messo a repentaglio dalle bizze e dai bassi istinti sotto la cintola (il "lui" moraviano, che meriterebbe d'essere strozzato). Con i bimbi davanti al latte e i biscotti che subiscono, senza volerlo, le minacce oscure di un cupido che scaglia ogni tanto frecce sul sesso facendo litigare mamma e papà. Come spesso accade nei film ad episodi (qui Alex Courtes detiene la quota più greve, mentre Emmanuelle Bercot la più equilibrata) il bilancio è scompensato da momenti di euforia e cadute di noia dovuto alle singole capacità delle firme. Ma Dujardin e Lellouche, pur non essendo all'altezza di Gassman e Tognazzi, sono simpatici e bislacchi al punto giusto. Maestri di cattivo esempio, veri e propri funamboli sul filo dell'ambiguità. Ma attenzione: dietro l'invitante vetrina di un film divertente, si cela un prodotto amaro e perfido che non mancherà di offrire spunti per dibattiti litigiosi agli spettatori in coppia. Compiti a casa, non proprio necessari, insomma.
Cinema Opera, Barletta - 5 Maggio 2012 (Barisera) |