"Sono abituato agli americani", si lascia scappare con un pizzico di cinismo e di livore Django (Jamie Foxx), cowboy nero a cavallo, fra lo stupore generale, tirato fuori dalla schiavitù per ragioni professionali dal loquace e luciferino dottor Schultz (Christoph Waltz) per mettere su un'efficace società di cacciatori di taglie "da qualche parte nel Texas", due anni prima della sanguinosa guerra civile. Davanti ai suoi occhi lo spettacolo è brutalmente ignobile: uno schiavo senza più alcuna utilità come "negro da combattimento", viene dato vivo in pasto ai cani dal suo padrone, il terribile e sadico latifondista bianco Calvin Candie (Leonardo Di Caprio). Siamo a metà film e Quentin Tarantino ha già omaggiato e saccheggiato amichevolmente decenni di onorato spaghetti-western. Più che in debito con le favole crepuscolari e le praterie bagnate dai sentimenti di Sergio Leone, questo "Django unchained" dedica il suo notevole dispendio di mezzi ai western di sostanza, più truculenti, realizzati da Sergio Corbucci, Sergio Sollima e Giulio Questi. Anche il titolo è un pretesto per pescare dal celebre "Django" del 1966 la celebre canzone scritta da Luis Bacalov e cantata da Rocky Roberts. Il film ovviamente, per ragioni tarantiniane, va a parare da tutt'altra parte, pur mantenendo intatte alcune costanti nell'ossatura del celebre campione originale. Il "suo" Django è infatti uno schiavo, comprato con metodi convincenti e non proprio ortodossi da un cacciatore di taglie tedesco, che è sulla pista dei fratelli Brittle, tre ricercati, che il nero conosce benissimo avendone subito le frustate. Promettendogli libertà e una ricompensa, il metodico e determinato dottor Schultz decide di farlo entrare in affari, facendo squadra nella caccia ai fuorilegge fino allo sciogliersi delle nevi. Dal Texas fino al Mississippi, i due riescono ad alzare un bel gruzzolo e potrebbero anche dividersi. Ma le "larghe vedute" del dentista prestato alla colt facilitano un nuovo sviluppo di piani. Individuata la bella e sofferente Broomhilda (Kerry Washington), la moglie di Django venduta come schiava ad un ricco possidente, i due decidono di andarla a liberare con uno stratagemma degno della commedia dell'arte. E qui inizia il secondo film.
Strizza poche volte l'occhio alla sperimentazione, si lascia prendere la mano nell'abuso di una violenza sempre funzionale al racconto, ma anche stavolta il buon Quentin fa centro. Il suo "western" si dimostra dalle battute iniziali un viaggio incredibilmente divertente, baciato da un amore per il vecchio cinema che viene fuori da ogni singolo fotogramma. Anche questa volta l'abbinamento di immagini, situazioni e temi musicali (a parte l'originale scritto da Morricone e cantato da Elisa, tutti gli altri vengono da film meravigliosi) offre allo spettatore un divertimento senza precedenti, al quale il cinema tradizionale ci ha disabituati. Ce n'è per tutti i gusti, con un culto per l'estetica cinematografica che ancora una volta dimostra l'attitudine del regista di Knoxville nel giocare la sua partita con i soldatini sulla scacchiera della cinefilia ("Il mercenario", "Navajo Joe", "I crudeli", "Il buono, il brutto, il cattivo"). Sul versante attori, davvero non si sa da dove cominciare: a partire da un incommensurabile Christoph Waltz, forse il miglior attore europeo del momento, questa volta nella parte di eroe buono al servizio della libertà. E c'è la trasformazione di Jamie Foxx, essere umano impaurito e disgraziato, che pianifica una raffinata vendetta di proporzioni bibliche. O Leonardo Di Caprio, giovane e viziato capitalista schizzato, abile orchestrale in una sinfonia tesissima. E in ruoli di contorno, ma altrettanto significativi giganti come Don Johnson, James Russo, Bruce Dern, Samuel L.Jackson e Franco Nero che autocelebra il personaggio originale in un cameo spassosissimo. Volti imponenti e prestigiosi, a cui non rende giustizia un anonimo doppiaggio. Se si mettono da parte gli istinti goliardici e le aspettative di intrattenimento, la pellicola più lunga della storia tarantiniana offre anche pesanti spunti di riflessione su una pagina amara della storia americana. L'eroe nero a cavallo passa fra le fiamme dell'ingiustizia, rischia di perdersi nell'oscurità dei diritti umani negati. L'epilogo concitato si consuma nella speranza, divenuta certezza, di un liberatorio riscatto sociale. Il cuore di eterno ragazzo di Quentin offre insomma battiti autentici, sembra di ascoltare finalmente il rumore dei rintocchi della maturità.
Cinema Adriano, Roma - 4 Gennaio 2013 |