Regalo appassionato dei fratelli Coen, dopo il discusso e incompreso remake de "Il grinta", "Inside Llewyn Davis" si ispira molto liberamente alla vita del folk singer Dave Van Ronk (1936-2002) che di Bob Dylan fu arrangiatore e fedele assistente. Un'esistenza all'ombra della celebrità e dei riconoscimenti, come se ne possono raccontare tante. In forma di ballata, a volte allegra a volte tragica, incrocia anche stavolta l'esistenza precaria di un perdente col quale la vita agra sembra prendersi gioco. Siamo nei paraggi degli antieroi positivi umanizzati dalla mancanza di aspirazioni, se non quella di resistere e sopravvivere alle intemperie delle ingiustizie. 1961. Catapultato nel vespaio dei club di Greenwich Village dove gli artisti si venderebbero la madre pur di raggranellare qualche dollaro per arrivare al giorno dopo, Llewyn Davis (Oscar Isaac), solista perchè orfano del suo partner musicale (che l'ha fatta finita), è un artista schivo e distratto, preso per il bavero dalla vita, che con la chitarra fa miracoli mentre il pubblico sembra essergli indifferente. Copie dei dischi invendute, l'anonimato nel destino, una pedina fra le tante Non si scompone, bussa piano sulla scrivania di un piccolo editore musicale che il massimo che gli può dare è un cappotto, e fila dritto verso i problemi che stanno li ad aspettarlo. La compagna di un suo amico gli rivela di essere incinta e di non essere affatto felice perchè il figlio potrebbe essere suo. Senza fissa dimora e senza un soldo in tasca, se ne va per la sua strada nel bel mezzo di un gelido inverno a trovare fortuna a Chicago dove un impresario, dopo aver ascoltato una sua composizione, lo esorta vivamente a darsi alla musica commerciale. Ma Llewyn non si spezza e non si contamina. A testa bassa pensa di mettere le sue aspirazioni musicali nel cassetto ed imbarcarsi nella marina mercantile: soluzione non facilmente praticabile per vecchie pendenze. Nel frattempo dopo aver cantato una struggente ballata tragica esce fuori dal club per fare un tiro, mentre sul palco sale un artista riccioluto di nome Bob.
I Coen tornano al folk, antico amore, con un film intenso e piacevole, strutturato in forma circolare (i fatti possono essere avvenuti o immaginari), aperto più del previsto alla libera interpretazione degli spettatori. Senza avvertire il peso e le responsabilità di un biopic, si raccontano in forma minima le gesta del mitico Van Ronk, ma anche stavolta riesce il gioco nel raccontare la quotidianità di un povero diavolo, attorniato da un sottobosco ostile ed inquietante. Davis è un artista rassegnato al quale basterebbe davvero poco per essere felice; col suo carico di debolezze umane, fagocitato in una metropoli gelida e avara che sembra stritolarlo in un incubo senza via di uscita. Nel ritratto impietoso ma anche grottesco ed ironico ricavato dai talentuosi registi di Minneapolis, spicca la dolcezza della musica, qui in forma predominante grazie ad una magistrale colonna sonora eseguita dallo straordinario Oscar Isaac che incarna perfettamente, senza artifizi di doppiaggio, l'anima del cantautore infelice. Nei ruoli di contorno, come al solito, presenze folgoranti come John Goodman e F.Murray Abraham. Opera minore, quasi defaticante che riporta sulla retta via due formidabili virtuosi della macchina da presa. Il film con la sua leggerezza poetica non mette da parte indispensabili iniezioni di humour graffiante. Meritato gran premio della giuria a Cannes.
Cinema Opera, Barletta - 6 Febbraio 2014 |